Maximilien Rubel

Marx teorico dellíanarchismo

"Les Cahiers du Vent du chímin", Saint-Denis, n. 5, dicembre 1983

 

Introduzione

Scritto per "LíEurope en formation", questo saggio vi apparve nel n. 163-164, ottobre-novembre 1973, dedicato al tema Anarchisme et Féderalisme. Fu ripreso nella raccolta di saggi pubblicata nel 1974 con il titolo Marx critique du marxisme (Payot, Paris, pp. 42-59). Per la presente riedizione, è stato rivisto quanto alla forma, e inoltre aumentato di un "Post scriptum" nel quale alcuni importanti aspetti del problema centrale, trascurati nel testo originario, hanno potuto essere esaminati. Invero, la questione non sarà esaurita se non quando non avrà più bisogno di essere posta, ovvero quando líumanità somiglierà allíimmagine di cui si sono nutriti i sogni di tutti gli spiriti rivoluzionari del xix secolo, per quanto contraddittorie possano essere state le loro concezioni teoriche.

Nel "Littré" si trovano due definizioni della parola "teoria" che meritano di essere meditate prima di affrontare la lettura del nostro saggio: "1) Speculazione; conoscenza che si arresta alla semplice speculazione, senza passare alla pratica. [Ö] 5) Nel linguaggio ordinario, ogni nozione generale, per comparazione con una teoria scientifica. [Ö] Teorie socialiste, umanitarie, opinioni azzardose che ci si fa sullíavvenire delle società e dellíumanità".

Riflettendo sulla guerra e sul "diritto di guerra", Pierre Leroux ricordava i limiti della filosofia politica di Bodin, Machiavelli, Hobbes, Grozio e Pufendorf. "Il fatto è che le speculazioni dei filosofi si radicano sempre nel loro secolo; hanno un bellíisolarsi e astrarsi, è sempre il mondo del loro tempo a dar loro líimpulso", scriveva nel 1827. Passando poi allí"origine e allo sviluppo del principio pacifico", si ricredeva: "Míinganno, esiste sempre qualche spirito temerario che si distacca completamente dal proprio secolo. Grazie a questi uomini del paradosso, non cíè forse mai stato, e forse non ci sarà mai, un principio che, prima di nascere come fatto, non si sia posto nellíintelligenza umana"; e faceva il nome di tre autori, "la cui gloria è di avere abbracciato con ardore e fede il principio della pace, di averlo predicato come legge delle società, reputando la guerra nientíaltro che uníinfrazione dellíordine: Thomas More, Fénelon e líabbé de Saint-Pierre".

Se è difficile annoverare Marx tra questi "uomini del paradosso", nel significato inteso da Pierre Leroux, è comunque legittimo considerarlo oggi, nel tempo del regno universale della paranoia politico-militare nella sfera delle oligarchie statali e culturali, come uno dei pionieri dellíeziologia di questíalienazione fatale alla nostra specie.

M. R., ottobre 1983

 

Marx teorico dellíanarchismo

Danneggiato da discepoli che non sono riusciti né a tracciare il bilancio e i limiti della sua teoria né a definirne le norme e il campo di applicazione, Marx ha finito con líassumere líaspetto di un gigante mitologico, simbolo dellíonniscienza e dellíonnipotenza, dellíhomo faber forgiatore del proprio destino

La storia della Scuola resta da scrivere, ma almeno ne conosciamo la genesi: codificazione di un pensiero mal conosciuto e mal interpretato, il marxismo è nato e si è sviluppato quando líopera di Marx non era ancora accessibile nella sua integralità e sue parti importanti erano inedite. Così il trionfo del marxismo come dottrina di Stato e ideologia di partito ha preceduto di alcuni decenni la diffusione degli scritti in cui Marx esponeva nel modo più chiaro e completo i fondamenti scientifici e le intenzioni etiche della sua teoria sociale. Il fatto che si siano prodotti sconvolgimenti profondi in nome di un pensiero i cui princìpi cardinali erano ignoti ai protagonisti del dramma storico, basterebbe già a dimostrare che il marxismo è il più grande, se non il più tragico, malinteso del secolo. Ma con ciò stesso si può misurare la portata della tesi sostenuta da Marx secondo la quale a provocare i mutamenti delle società e le trasformazioni sociali non sono né le idee rivoluzionarie né i princìpi morali, bensì delle forze umane e materiali; idee e ideologie servono perlopiù soltanto a mascherare gli interessi della classe a vantaggio della quale sono stati realizzati gli sconvolgimenti. Il marxismo politico non può richiamarsi alla scienza di Marx e contemporaneamente sottrarsi a quellíanalisi critica di cui si è armata per smascherare le ideologie di potenza e di sfruttamento.

Ideologia dominante di una classe di padroni, il marxismo è riuscito a svuotare i concetti di socialismo e di comunismo, così comíerano intesi da Marx e dai suoi precursori, del loro contenuto originario, sostituito dallíimmagine di una realtà che ne è la totale negazione. Benché strettamente legato agli altri due, un terzo concetto sembra tuttavia essere sfuggito a questo destino: líanarchismo. Se è noto che Marx ha avuto poca simpatia per certi anarchici, generalmente síignora che nondimeno ne ha condiviso líideale e líobiettivo: la scomparsa dello Stato. Conviene dunque ricordare che, sposando la causa dellíemancipazione operaia, Marx si è subito situato nella tradizione dellíanarchismo piuttosto che in quella del socialismo o del comunismo1. E quando finalmente scelse di definirsi comunista, questa qualifica non designava per lui una delle correnti del comunismo allora esistenti, bensì un movimento di pensiero e un modo di azione che restava da fondare, riunendo tutti gli elementi rivoluzionari ereditati dalle dottrine e dalle esperienze di lotta del passato.

Nelle riflessioni seguenti, cercheremo di dimostrare che, sotto il vocabolo "comunismo", Marx ha sviluppato una teoria dellíanarchia; o meglio chíegli fu in realtà il primo a gettare le basi razionali dellíutopia anarchica e a definirne un progetto di realizzazione. Viste le dimensioni limitate di questo saggio, presenteremo queste tesi solo come temi di discussione. Il ricorso alle citazioni di riscontro testuale, sarà ridotto al minimo, per fare risaltare meglio líargomento centrale: Marx teorico dellíanarchismo.

I

Quando nel febbraio 1845, poco prima di partire per líesilio brussellese, Marx firmò a Parigi un contratto con un editore tedesco, impegnandosi a consegnare entro qualche mese uníopera in due volumi (di circa mille pagine) intitolata Critica della politica e dellíeconomia politica, era lontano dal sospettare di essersi imposto un compito che avrebbe riempito tutta la sua vita e del quale peraltro avrebbe potuto realizzare solo un grande frammento.

La scelta del tema non aveva niente di fortuito. Perduta ogni speranza di carriera universitaria, Marx aveva trasposto nel giornalismo politico i risultati dei propri studi di filosofia. I suoi articoli sulla "Rheinische Zeitung" di Colonia si battono per la libertà di stampa in Prussia nel nome di una libertà da lui concepita come essenza dellíuomo e come gioiello e ornamento della natura umana; ma anche in nome di uno Stato concepito come realizzazione della libertà razionale, come "il grande organismo in cui le libertà giuridica, morale e politica devono trovare la loro realizzazione e in cui il singolo cittadino, obbedendo alle leggi dello Stato non fa che obbedire alle leggi naturali della propria ragione, della ragione umana" ("Rheinische Zeitung", 10 luglio 1842). Ma la censura prussiana ridusse ben presto al silenzio il filosofo giornalista, che non avrebbe tardato a interrogarsi, nella solitudine di un ritiro di studi, circa la vera natura dello Stato e la portata razionale ed etica della filosofia politica di Hegel. Conosciamo i frutti di questa meditazione, arricchita dallo studio della storia delle rivoluzioni borghesi in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti díAmerica: oltre a un lavoro incompiuto e inedito ñ Critica della filosofia hegeliana dello Stato (1843) ñ due saggi polemici: Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto e A proposito della questione ebraica (Parigi, 1844). Questi due scritti costituiscono, in verità, un unico manifesto in cui Marx addita una volta per tutte e condanna senza riserve le due istituzioni sociali chíegli vede allíorigine dei mali e delle tare di cui soffre la società moderna e di cui soffrirà, fino a quando una rivoluzione sociale non li abolirà: lo Stato e il Denaro. Simultaneamente Marx esalta quella potenza che, dopo essere stata la principale vittima di queste due istituzioni, porrà fine al loro regno come a ogni altra forma di dominio di classe, politico o economico: il proletariato moderno, la cui auto-emancipazione è líemancipazione universale dellíuomo, è, dopo la perdita totale dellíuomo, la conquista totale dellíumano.

La negazione dello Stato e del Denaro, così come líaffermazione del proletariato in quanto classe liberatrice, precedono, nello sviluppo intellettuale di Marx, i suoi studi di economia politica e anche la scoperta del "filo conduttore" che lo guiderà nelle sue ricerche storiche successive, ossia la concezione materialistica della storia. La rottura con la filosofia giuridica e politica di Hegel da una parte, e lo studio critico della storia delle rivoluzioni borghesi dallíaltra, gli hanno permesso di fissare definitivamente i postulati etici della propria futura teoria sociale, di cui la critica dellíeconomia politica gli fornirà le basi scientifiche. Avendo còlto il ruolo rivoluzionario della democrazia e del potere legislativo nella genesi dello Stato borghese e del suo sistema di governo, Marx ha messo a profitto le analisi illuminanti di un Alexis de Tocqueville e di un Thomas Hamilton2, entrambi osservatori perspicaci delle potenzialità rivoluzionarie della democrazia americana, per gettare le fondamenta razionali di uníutopia anarchica in quanto finalità cosciente del movimento rivoluzionario della classe che il suo maestro Saint-Simon aveva definito "la più numerosa e la più povera". Poiché la critica dello Stato líaveva portato a immaginare la possibilità di una società liberata da ogni autorità politica, doveva ormai intraprendere la critica del sistema economico che assicurava le basi materiali dello Stato. Quanto alla negazione etica del denaro, essa implicava parimenti líanalisi dellíeconomia politica, scienza dellíarricchimento per gli uni e della miseria per gli altri. Più tardi, Marx avrebbe definito "anatomia della società borghese" la ricerca che stava per iniziare, ed è proprio dedicandosi a questo lavoro di anatomista sociologo che forgerà il proprio strumento metodologico; la riscoperta della dialettica hegeliana lo avrebbe aiutato poi a fissare il piano dellíEconomia in sei "rubriche" o "Libri": "Capitale", "Proprietà fondiaria", "Lavoro salariato"; "Stato", "Commercio estero", "Mercato mondiale" (cfr. la prefazione alla Critica dellíeconomia politica, 1859). In effetti questa doppia "triade" di temi di ricerca corrisponde ai due problemi che Marx si proponeva di trattare quattordici anni prima nellíopera contenente la duplice critica dellíeconomia e della politica. Marx ha iniziato la propria opera con líanalisi critica del modo di produzione capitalistico, ma sperava di portare a termine non solo la prima triade di rubriche, ma anche díiniziare la seconda triade che avrebbe dovuto inaugurare il "Libro sullo Stato"3. La teoria dellíanarchismo avrebbe così trovato in Marx il suo primo promotore riconosciuto, senza che vi fosse bisogno di portarne la prova indiretta. Quel malinteso del secolo che è il marxismo, ideologia di Stato, è nato da tale lacuna; è questíultima che ha permesso ai padroni di un apparato statale battezzato socialista di includere Marx fra gli adepti di un socialismo o di un comunismo di Stato, se non addirittura di un socialismo "autoritario".

Certamente, come ogni insegnamento rivoluzionario, quello di Marx non è esente da ambiguità. Sfruttandole abilmente e invocando certi atteggiamenti personali del maestro, discepoli poco scrupolosi sono riusciti a mettere la sua opera al servizio di dottrine e di azioni che ne rappresentano la più completa negazione, tanto nella sua verità fondamentale quanto nella sua finalità apertamente proclamata. In uníepoca in cui tutto ñ teorie e valori, sistemi e progetti ñ si vede rimesso in questione da vari decenni di regresso nellíordine delle relazioni umane, è importante raccogliere il lascito spirituale di un autore che, consapevole dei limiti della propria ricerca, ha fatto dei postulati dellíautoeducazione critica e dellíauto-emancipazione rivoluzionaria il principio permanente del movimento operaio. Non spetta a una posterità carica di pesanti responsabilità giudicare un morto che non può più difendere la propria causa; in compenso, tocca a noi accettare consapevolmente un insegnamento tutto vólto verso un avvenire che è divenuto, certamente, il nostro catastrofico presente, ma che, nella sua parte migliore, resta ancora da creare.

II

Diciamolo uníaltra volta: il "Libro" sullo Stato previsto nel piano dellíEconomia, ma restato non scritto, poteva contenere soltanto la teoria della società liberata dallo Stato, la società anarchica. Senza essere direttamente destinati a questíopera, i materiali e i lavori preparati o pubblicati da Marx nel corso della sua attività letteraria permettono sia di avanzare questa ipotesi circa la sostanza dellíopera progettata sia di determinarne la struttura generale. Se la prima triade di rubriche si confondeva con la critica dellíeconomia politica, la seconda triade avrebbe dovuto, per líessenziale, esporre la critica della politica. Facendo seguito alla critica del capitale, la critica dello Stato avrebbe dovuto stabilire il determinismo dellíevoluzione politica della società moderna, così come il proposito del Capitale (seguìto dai "Libri" sulla Proprietà fondiaria e sul Lavoro salariato) era di "svelare la legge economica di movimento della società moderna" (cfr. la "Prefazione alla prima edizione" de Il Capitale, 1867). E come negli scritti, editi e inediti, anteriori alla Critica dellíeconomia politica (1859) si rinvengono i princìpi e i postulati cui Marx si è ispirato per fondare la critica del capitale, così se ne possono estrarre le tesi e le norme che líavrebbero guidato per sviluppare la critica dello Stato. Sarebbe tuttavia falso supporre che il pensiero di Marx sulla politica fosse allora definitivamente fissato, senza possibilità di alcuna modifica nei dettagli, o chiuso a ogni arricchimento teorico. Anzi, se il problema dello Stato non ha mai smesso di assillarlo, non è solo perché si sentiva moralmente costretto a terminare la sua opera principale, ma soprattutto perché la sua partecipazione allíInternazionale operaia dal settembre 1864, i suoi scontri polemici in seno a questíorganismo e gli avvenimenti politici, in particolare la rivalità egemonica tra Francia e Prussia da una parte, Russia e Austria dallíaltra, líhanno sempre tenuto sul chi vive. LíEuropa dei trattati di Vienna era ormai solo una finzione, mentre due grandi fenomeni sociali erano sórti sulla scena della storia: i movimenti di liberazione nazionale e il movimento operaio. Difficili da conciliare da un punto di vista puramente concettuale, la mischia delle nazioni e la lotta di classe dovevano porre a Marx e a Engels problemi di decisione teorica la cui soluzione non poteva mancare di porli in contraddizione con i propri princìpi rivoluzionari. Engels si era specializzato nel distinguere i popoli e le nazioni a seconda che potessero o no rivendicare, a suo avviso, il diritto storico allíesistenza nazionale. Il loro senso della realtà storica impediva ai due amici di seguire Proudhon sulla via di un federalismo che, nella situazione dellíepoca, doveva apparire loro una pura follia e nel contempo uníutopia impura; ma grande era il rischio di cadere in un nazionalismo poco compatibile col presunto universalismo del proletariato moderno.

Se Proudhon, con le sue aspirazioni federaliste, sembra essere più vicino di Marx a una posizione anarchica, il quadro si sfuma quando si consideri la sua concezione globale delle riforme che avrebbero dovuto portare allíabolizione del capitale e dello Stato. Líelogio di cui Proudhon è fatto oggetto ne La sacra famiglia (1845) non deve trarci in inganno: fin da allora le divergenze teoriche tra i due pensatori erano profonde, poiché questo elogio veniva concesso al socialista francese solo con una riserva díimmensa portata: la critica proudhoniana della proprietà non è esterna al sistema economico borghese; per quanto valida, non rimette in questione dalle fondamenta i rapporti sociali di produzione del sistema criticato. Nella dottrina proudhoniana, anzi, le categorie economiche, espressioni teoriche delle istituzioni del capitale, sono tutte quante conservate in maniera sistematica. Proudhon ha il merito di aver disvelato le contraddizioni inerenti alla scienza economica e di aver dimostrato líimmoralità della morale e del diritto borghesi; la sua debolezza è di aver accettato le categorie e le istituzioni dellíeconomia capitalista e di avere rispettato, nel proprio programma di rimedi e di riforme, tutti gli strumenti di dominio della classe borghese e del suo potere politico: salario, credito, banca, scambio, prezzo, valore, profitto, interesse, imposta, concorrenza, monopolio. Pur avendo saputo applicare la dialettica della negazione allíanalisi dellíevoluzione del diritto e dei sistemi giuridici, si è tuttavia fermato a mezza strada, rinunciando a estendere il suo metodo critico della negazione allíeconomia capitalista. Proudhon ha reso possibile tale critica, ma è Marx che tenterà di fare di questo nuovo metodo critico uníarma nella lotta del lavoro contro il capitale e il suo Stato.

Proudhon aveva criticato líeconomia e il diritto borghese in nome della morale borghese; Marx diverrà il critico del modo di produzione capitalista in nome dellíetica proletaria, i cui criteri di giudizio sono improntati a una visione del tutto diversa della società umana. È sufficiente a questo fine perseguire in tutto il suo rigore logico e fino alle sue ultime conseguenze il principio proudhoniano ñ o meglio, hegeliano ñ della negazione: la Giustizia sognata da Proudhon sarà realizzata solo dalla negazione della giustizia, così come la filosofia non potrà essere realizzata che dalla negazione della filosofia, cioè da una rivoluzione sociale che permetterà infine allíumanità di divenire sociale e alla società di divenire umana4. Sarà la fine della preistoria dellíumanità e líinizio della vita individuale, líapparizione dellíuomo nella sua pienezza, con facoltà universali, líavvento dellíuomo totale o polimorfo (vielseitig). Alla morale realista di Proudhon che cerca di salvare il "lato buono" delle istituzioni borghesi, Marx contrappone líetica di uníutopia le cui esigenze sono allíaltezza delle possibilità offerte da una scienza e da una tecnica sufficientemente sviluppate per provvedere ai bisogni della specie. A un anarchismo tanto rispettoso della pluralità delle classi e delle categorie sociali quanto favorevole alla divisione del lavoro e ostile allíassociazionismo esaltato dagli utopisti, Marx oppone un anarchismo negatore delle classi sociali e della divisione del lavoro, un comunismo che riprende tutto ciò che, nel socialismo utopistico, potrebbe essere realizzato da un proletariato cosciente del proprio ruolo emancipatore e padrone delle forze produttive. E tuttavia, a dispetto di queste vie divergenti ñ in particolare, come vedremo, di una differente valutazione dei mezzi politici ñ, i due tipi di anarchia si orientano verso una finalità comune, quella che il Manifesto del Partito comunista ha definito in questi termini:

"La vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi cede il posto a uníassociazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è la condizione della libera realizzazione di tutti".

III

Marx si è rifiutato díinventare ricette per le pentole dellíavvenire, ma ha fatto di meglio, o di peggio: ha voluto dimostrare che una necessità storica trascinava, simile a una cieca fatalità, líumanità verso una situazione di crisi in cui avrebbe dovuto affrontare un dilemma decisivo: essere annientata dalle proprie invenzioni tecniche o sopravvivere grazie a un soprassalto di coscienza che líavrebbe resa capace di rompere con tutte le forme di alienazione e di asservimento che hanno segnato le fasi della sua storia. Solo questo dilemma è fatale, poiché la scelta della via díuscita è lasciata alla classe sociale che ha tutte le ragioni per rifiutare líordine esistente e per realizzare un modo di esistenza profondamente diverso dal vecchio. Il proletariato moderno è, virtualmente, la forza materiale e morale in grado di farsi carico di questo compito salvifico di portata universale. Tuttavia, questa forza potenziale potrà diventare reale solo col compimento del tempo della borghesia, poiché anche questíultima assolve una missione storica; se non ne è sempre cosciente, i suoi ideologi síincaricano di ricordarle il suo ruolo civilizzatore. Creando il mondo a propria immagine, la borghesia dei Paesi industrialmente sviluppati imborghesisce e proletarizza le società che cadono progressivamente sotto il suo dominio politico ed economico. Considerati dal punto di vista degli interessi proletari, i suoi strumenti di conquista ñ il capitale e lo Stato ñ sono altrettanto mezzi di asservimento e di oppressione. Quando i rapporti di produzione capitalisti, e pertanto gli Stati capitalisti, si saranno effettivamente instaurati su scala planetaria, le contraddizioni interne del mercato mondiale riveleranno i limiti dellíaccumulazione capitalista e provocheranno uno stato di crisi permanente che metterà in pericolo le basi stesse delle società asservite, fino a minacciare la sopravvivenza pura e semplice della specie umana. Risuonerà líora della rivoluzione proletariaÖ

Uníestrapolazione appena audace ci è bastata per trarre le ultime conseguenze dal metodo dialettico impiegato da Marx per rivelare la legge economica del movimento della società moderna. Potremmo avvalorare questíaffermazione astratta mediante riferimenti testuali, partendo dalle osservazioni metodologiche che si possono spigolare in parecchi scritti di Marx risalenti a epoche diverse. È anche vero che líipotesi più frequente che Marx ci prospetta nei suoi lavori politici è quella della rivoluzione proletaria nei Paesi che hanno conosciuto un lungo periodo di civiltà borghese e di economia capitalista; essa deve segnare líinizio di un processo di sviluppo che inglobi a poco a poco il resto del mondo, poiché líaccelerazione del progresso storico è assicurata per osmosi rivoluzionaria. Qualunque sia líipotesi considerata, un fatto è certo: non cíè spazio, nella teoria sociale di Marx, per una terza via rivoluzionaria, quella di Paesi che, privi dellíesperienza storica del capitalismo maturo e della democrazia borghese, mostrerebbero il cammino della rivoluzione proletaria ai Paesi dotati di un lungo passato capitalista e borghese.

È bene ricordare tali elementari verità della cosiddetta concezione materialistica della storia, perché la mitologia marxista nata con la Rivoluzione russa del 1917 è riuscita a imporre alle menti poco informate ñ e sono legioni ñ una tuttíaltra immagine di questo processo rivoluzionario: líumanità sarebbe divisa in due sistemi economico-politici, il mondo capitalista dominato dai Paesi industrialmente sviluppati e il mondo socialista il cui modello, líurss, è assurto al rango di seconda potenza mondiale in seguito a una rivoluzione "proletaria". In verità, líindustrializzazione del Paese è dovuta alla creazione e allo sfruttamento di un immenso proletariato, e non al trionfo e allíabolizione di questíultimo. La finzione di una "dittatura del proletariato" fa parte dellíarsenale delle idee imposte dai nuovi padroni nellíinteresse del loro potere: numerosi decenni di barbarie nazionalista e militare su scala mondiale ci consentono di comprendere lo smarrimento mentale di uníintellighenzia universalmente vittima del mito denominato "Ottobre socialista"5.

Non potendo approfondire questo dibattito in questa sede, ci limiteremo a precisare il nostro proposito sotto forma di uníalternativa: o la teoria materialistica dello sviluppo sociale è rigorosamente scientifica ñ cosa di cui lo stesso Marx, naturalmente, era persuaso ñ e in tal caso líesistenza di un mondo "socialista" è un mito; oppure il mondo socialista esiste realmente, e ciò costituisce la confutazione totale e definitiva di questa teoria. Nella prima ipotesi, il mito del mondo socialista si può spiegare perfettamente: si tratterebbe del prodotto di una campagna ideologica abilmente condotta dal "primo Stato operaio" al fine di dissimulare la propria natura; nel secondo caso, la teoria materialistica del divenire-socialista-del-mondo sarebbe certo smentita, ma le esigenze etiche e utopiche dellíinsegnamento marxiano sarebbero realizzate; in altre parole, Marx, rifiutato dalla storia come scienziato, avrebbe trionfato come rivoluzionario.

Il mito del "socialismo realizzato" è stato fabbricato per giustificare moralmente uno dei più poderosi modelli di società del dominio e dello sfruttamento che la storia abbia mai conosciuto. Il problema della natura di questa società è riuscito a stornare completamente anche le menti più attente dalle teorie, dottrine e nozioni che formano nel loro insieme il patrimonio intellettuale del socialismo, del comunismo e dellíanarchismo; ma fra queste tre scuole del movimento díidee mirante a una mutazione profonda della società umana, líanarchismo è quella che ha meno sofferto di tale pervertimento: non avendo creato una teoria vera e propria della praxis rivoluzionaria, ha potuto preservarsi dalla corruzione politica e ideologica che ha colpito le altre due scuole di pensiero. Nata tanto dai sogni e dalle nostalgie quanto dal rifiuto e dalla rivolta, si è costituita come la critica più radicale del principio di autorità in tutte le sue vesti, ed è soprattutto come tale che è stata assorbita dalla teoria materialistica della storia. Questíultima è essenzialmente uníidea dellíevoluzione storica dellíumanità che passa, attraverso tappe successive, da uno stato permanente di antagonismi sociali a un modo di esistenza fatto di armonia sociale e di pienezza individuale. Al pari della critica sociale trasmessa dallíutopia anarchica, la finalità comune alle dottrine radicali e rivoluzionarie pre-marxiane è divenuta parte integrante del comunismo anarchico di Marx. Con lui, líanarchismo utopico si arricchisce di una nuova dimensione, quella della comprensione dialettica del movimento operaio visto come líautoliberazione etica inglobante líintera umanità. Era inevitabile che la tensione intellettuale provocata dallíelemento dialettico in una teoria dalle pretese scientifiche, se non addirittura naturalistiche, fosse allíorigine di uníambiguità fondamentale che segna indelebilmente líinsegnamento e líattività di Marx. Uomo di partito6 non meno che uomo di scienza, Marx non sempre ha cercato, nella sua attività politica, di armonizzare i fini e i mezzi del comunismo anarchico. Ma pur avendo a volte fallito come militante, non cessa per questo di essere il teorico dellíanarchismo. Si ha dunque il diritto di applicare alla sua teoria la tesi etica da lui formulata a proposito del materialismo di Feuerbach (1845):

"La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teorica, bensì una questione pratica. Nella prassi líuomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero"6 bis.

IV

La negazione dello Stato e del capitalismo da parte della classe sociale più numerosa e più miserabile si presenta in Marx come un imperativo etico prima ancora di essere dimostrata dialetticamente come una necessità storica. Il suo primo passo, procedendo a una valutazione critica dei risultati della Rivoluzione francese, equivale a una scelta decisiva, quella dello scopo che, a suo avviso, ogni uomo dovrebbe sforzarsi di raggiungere; e tale scopo è precisamente líemancipazione umana in quanto superamento dellíemancipazione politica. Lo Stato politico più libero ñ il cui unico esempio è fornito dagli Stati Uniti díAmerica ñ rende líuomo schiavo poiché síinterpone a moí di mediatore fra líuomo e la sua libertà, come Cristo che líuomo religioso carica della divinità propria dellíuomo. Politicamente emancipato, nondimeno líuomo partecipa a una sovranità immaginaria; quale essere sovrano che gode dei diritti dellíuomo, conduce una doppia esistenza, quella del cittadino, membro della comunità politica, e quella del privato, membro della società civile; quella di essere celeste e quella di essere profano. Come cittadino, egli è libero e sovrano nei cieli della politica, reame universale dellíeguaglianza; come individuo, viene reinghiottito e nella vita reale, la vita civile, si degrada a strumento del suo prossimo; è allora il giocattolo di potenze estranee, materiali e morali: le istituzioni della proprietà privata, della cultura, della religione ecc. La società civile separata dallo Stato politico è la sfera dellíegoismo, della guerra di tutti contro tutti, della separazione dellíuomo dallíuomo. Assicurando allíuomo la libertà religiosa, la democrazia politica non lo ha liberato dalla religione, così come non lo libera dalla proprietà garantendogli il diritto di proprietà; egualmente mantiene la schiavitù e líegoismo del mestiere accordando a tutti la libertà di mestiere. Poiché la società civile borghese è il mondo del commercio e del lucro, il regno del denaro, potenza universale che si è asservita la politica, e dunque lo Stato.

In sintesi, questa è la tesi iniziale di Marx: come critica dello Stato e del capitale, pertiene più a un pensiero anarchico piuttosto che a un qualunque socialismo o comunismo. Non ha ancora niente di rigorosamente scientifico, ma si richiama a una concezione etica del destino umano, di cui implicitamente si nutre, ponendo líesigenza di un compimento nellíordine del tempo storico. Per questo, senza limitarsi alla critica dellíemancipazione politica ñ che riduce líuomo allo stato di monade egoista e di cittadino astratto ñ, definisce sia il fine da raggiungere sia i mezzi necessari:

"Solo quando líeffettuale uomo individuale ritira in sé líastratto cittadino e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nelle sue relazioni individuali è diventato essenza-del-genere, solo quando líuomo ha riconosciuto e ha organizzato le sue "forces propres" come forze sociali e perciò non scinde più da sé le forze sociali nella sembianza del potere politico, solo allora líemancipazione umana si adempie" (Sulla questione ebraica, 1844)6 ter.

Partendo da Il contratto sociale di Rousseau, teorico del cittadino astratto e precursore di Hegel, Marx ha trovato la propria strada. Rifiutato un aspetto dellíalienazione politica esaltata dai due pensatori, è giunto alla visione di una emancipazione umana e sociale che reintegrerebbe líindividuo nellíinterezza delle sue facoltà e nella totalità del suo essere. Rifiuto parziale, poiché, in quanto dato storico, questa tappa non può scomparire o essere abolita mediante un atto di volontà. Líemancipazione politica è un "grande progresso", è anche líultima forma dellíemancipazione umana allíinterno dellíordine stabilito, e come tale potrà essere usata come strumento per sconvolgere tale ordine e inaugurare la tappa dellíautentica emancipazione umana. Dialetticamente antinomici, il fine e i mezzi si accordano eticamente nella coscienza del proletariato moderno, che diviene così il portatore e il soggetto storico della rivoluzione. Classe che concentra in sé tutte le tare della società e ne incarna la colpa originaria, il proletariato possiede un carattere universale per via dellíuniversalità della sua miseria. Non può emanciparsi senza emancipare tutte le sfere della società, e proprio realizzando i postulati di questa etica emancipatrice si abolirà in quanto proletariato.

Laddove Marx invoca la filosofia come "testa" e arma intellettuale dellíemancipazione umana il cui "cuore" sarebbe il proletariato, noi preferiamo parlare di etica, per significare che non si tratta di una speculazione metafisica ma di un problema esistenziale: ciò che conta è cambiare il mondo restituendogli il suo volto umano originario, e non interpretarne la caricatura. Nessuna filosofia speculativa può offrire allíuomo una soluzione ai suoi problemi di esistenza, seppur elevando la rivoluzione al rango díimperativo categorico, Marx ragiona in funzione di uníetica normativa e non in riferimento a una filosofia della storia o a una teoria sociologica. Una sola scienza doveva allora destare líattenzione di Marx che non poteva né voleva limitarsi alla pura esigenza etica di una rigenerazione degli uomini e delle società: la scienza della produzione dei mezzi di esistenza secondo la legge del capitale.

Lo studio dellíeconomia politica fu per Marx un modo di lottare per la causa alla quale avrebbe consacrato ormai tutti gli istanti della sua esistenza di "borghese" declassato. Quella che fino ad allora era stata solamente intuizione visionaria e scelta etica diventerà teoria dello sviluppo economico e ricerca dei determinismi sociali. Ma parimenti sarà partecipazione attiva al movimento sociale chiamato a mettere in pratica gli imperativi e le norme derivanti dalle condizioni di esistenza del proletariato industriale. La teoria di una società senza Stato, senza classi, senza scambi monetari, senza terrori religiosi e intellettuali, presuppone una teoria critica del modo di produzione capitalista e líanalisi rivelatrice del processo evolutivo che avrebbe portato, attraverso tappe successive, ai tipi di società comunista e anarchica. Marx scriverà più tardi:

"Anche quando una società è riuscita a scoprire la legge naturale del suo movimento [Ö] non può né saltare díun balzo, né sopprimere per decreto, le fasi naturali del processo. Ma può abbreviare e lenire le doglie del parto" ("Prefazione alla prima edizione" de Il Capitale, 1867).

Insomma, Marx si sforzerà di dimostrare scientificamente ciò di cui era già persuaso intuitivamente e che gli sembrava eticamente necessario. E fin dal primo abbozzo di una critica dellíeconomia politica affronterà líanalisi del capitale da un punto di vista sociologico, come potere di comando sul lavoro e sui suoi prodotti, poiché il capitalista possiede questa forza non in virtù delle sue qualità personali o umane, ma in quanto proprietario del capitale. Il salariato è una schiavitù, e ogni aumento del salario disposto díautorità sarà solo una migliore remunerazione per gli schiavi.

"La stessa uguaglianza del salario, quella che reclama Proudhon, non fa che generalizzare il rapporto dellíoperaio del nostro tempo col suo lavoro, facendone il rapporto di tutti gli uomini col lavoro. La società viene allora concepita come un capitalista astratto." (AbbozzoÖ, 1844.)

Schiavitù economica e servitù politica vanno di pari passo. Líemancipazione politica, il riconoscimento dei diritti dellíuomo da parte dello Stato moderno ha lo stesso significato del riconoscimento della schiavitù da parte dello Stato antico (La Sacra famiglia, 1845). Schiavo di un mestiere salariato, líoperaio lo è anche del proprio bisogno egoista e del bisogno altrui. La condizione umana non sfugge alla servitù politica nello Stato democratico rappresentativo più che nella monarchia costituzionale. "Nel mondo moderno ciascuno è ad un tempo membro della schiavitù e della comunità", sebbene in apparenza la servitù della società borghese sia il massimo di libertà. Proprietà, industria e religione, generalmente considerate garanti della libertà individuale, sono, in effetti, istituzioni che consacrano questa condizione di servitù. Robespierre, Saint-Just e i loro seguaci sono periti per aver confuso la società antica fondata sulla schiavitù reale, con lo Stato rappresentativo moderno che si basa sulla schiavitù emancipata, la società borghese con la sua concorrenza universale, i suoi interessi privati scatenati, il suo individualismo alienato. Pur comprendendo perfettamente la natura dello Stato moderno e della società borghese, Napoleone si è compiaciuto di considerare lo Stato come un fine in sé e la vita borghese come lo strumento delle proprie ambizioni politiche. Per soddisfare líegoismo della nazione francese, ha istituito la guerra permanente al posto della rivoluzione permanente. La sua sconfitta consacra la vittoria della borghesia liberale che avrebbe finito per realizzare nel 1830 i suoi sogni del 1789, facendo dello Stato rappresentativo costituzionale líespressione ufficiale del suo potere esclusivo e dei suoi interessi particolari.

Il problema del bonapartismo fu líassillo permanente di Marx, attento osservatore della società francese nella sua evoluzione politica e nel suo sviluppo economico7. Ai suoi occhi, la Rivoluzione francese costituiva il periodo classico dello spirito politico e la tradizione bonapartista una costante della politica interna ed estera della Francia. Così Marx si è trovato ad abbozzare una teoria del cesarismo moderno che, se pare contraddire in parte i princìpi metodologici della sua teoria dello Stato, non modifica la sua iniziale visione anarchica. Poiché è proprio nel momento in cui si accingeva a gettare le fondamenta della sua interpretazione materialistica della storia che egli ha formulato una concezione dello Stato che lo classifica tra i sostenitori dellíanarchismo più radicale.

"Líesistenza dello Stato e líesistenza della servitù sono inseparabili. [Ö] Più lo Stato è potente, più un Paese è, per questo, politico, meno è disposto a cercare nel principio dello Stato, dunque nellíorganizzazione attuale della società di cui lo Stato stesso è líespressione attiva, consapevole e ufficiale, la ragione dei suoi mali sociali. [Ö]" (Vorwärts, 1844.)

Líesempio della Rivoluzione francese gli sembrava allora sufficientemente probante da fargli enunciare una teoria che corrisponde solo parzialmente alla sociologia politica tratteggiata sia ne Líideologia tedesca sia nelle sue riflessioni sul secondo Impero e sulla Comune del 1871:

"Lungi dal vedere nel principio dello Stato la fonte dei mali sociali, gli eroi della Rivoluzione francese vedono al contrario nelle tare sociali la fonte dei mali politici. Così Robespierre vede nella grande povertà e nella grande ricchezza solo un ostacolo alla democrazia pura. Egli desidera dunque stabilire una frugalità spartana generale. Il principio della politica è la volontà" (ibidem).

Quando ventisette anni dopo, a proposito della Comune di Parigi, Marx prenderà nuovamente in esame le origini storiche dellíassolutismo politico rappresentato dallo Stato bonapartista, vedrà nellíopera centralizzatrice della Rivoluzione francese la continuazione delle tradizioni monarchiche:

"Líapparato dello Stato centralizzato, con i suoi organi militari, burocratici, clericali e giudiziari, onnipresenti e complicati, che rinchiudono (avviluppano) il corpo vivente della società civile come un boa constrictor, fu agli inizi foggiato, ai tempi della monarchia assoluta, come arma della nascente società moderna nella sua lotta per emanciparsi dal feudalismo. [Ö] La prima Rivoluzione francese, che aveva líobiettivo di fondare líunità nazionale, [Ö] proseguendo nellíopera intrapresa dalla monarchia assoluta, [Ö] fu necessariamente costretta a sviluppare la centralizzazione e líorganizzazione del potere dello Stato, ad ingrandirne il ruolo e le attribuzioni, ad aumentare il numero dei suoi strumenti, ad accrescere la sua indipendenza e il suo dominio soprannaturale sulla società reale [Ö]. Ogni interesse minore e isolato, prodotto dai rapporti dei gruppi sociali, fu separato dalla società stessa, delimitato, reso indipendente da questa e messo in contrapposizione ad essa, in nome della ragion di Stato, difesa dai sacerdoti del potere di Stato dalle funzioni gerarchiche esattamente definite" (Primo abbozzo sulla Comune, 1871)7 bis.

Questa denuncia appassionata del potere di Stato riassume in qualche modo tutto lo sforzo di studio e di riflessione critica compiuto da Marx in questo campo, dallo scontro con la filosofia morale e politica di Hegel, passando per il periodo di elaborazione della teoria materialistica della storia e i quindici anni di giornalismo libero e professionale, senza dimenticare líintensa attività in seno allíInternazionale operaia. La Comune sembra essere stata per Marx líoccasione di esporre líultimo stadio del suo pensiero sul problema al quale aveva riservato uno dei sei libri della sua Economia e di tracciare almeno i contorni di questa libera associazione di uomini liberi, di cui il Manifesto del Partito comunista aveva annunciato líavvento:

"Non si trattò quindi per la Comune di una rivoluzione contro questa o quellíaltra forma di potere dello Stato, legittimista, costituzionale, repubblicana o imperiale. Fu una rivoluzione contro líessenza stessa dello Stato, questo aborto sovrannaturale della società; fu la riappropriazione da parte del popolo della propria vita sociale"7 ter.

V

Paragonando il modo di emancipazione dei servi sotto il regime feudale a quello dei lavoratori moderni, Marx notava che, a differenza dei proletari, i servi dovevano sviluppare liberamente le condizioni di esistenza offerte e per questo non potevano che pervenire al "lavoro libero"; per contro, i proletari non potevano affermarsi individualmente senza abolire la propria condizione di vita; ed essendo questa identica a quella dellíinsieme della società, non rimaneva che sopprimere il lavoro salariato. E aggiungeva questa frase che gli sarebbe servita ormai da Leitmotiv, sia nellíattività letteraria sia nellíazione di comunista militante:

"[I proletari] si trovano quindi anche in antagonismo diretto con la forma nella quale gli individui della società si sono dati finora uníespressione collettiva, lo Stato, e devono rovesciare lo Stato per affermare la loro personalità" (Líideologia tedesca, 1846)7 quater.

Questa formula, più vicina allíanarchismo di Bakunin che a quello di Proudhon, non è frutto di un momento díirriflessione passionale né il gesto di un politico che arringhi uníassemblea operaia. È la conclusione logica, in forma di postulato rivoluzionario, di tutto uno sviluppo teorico tendente a dimostrare la "necessità storica" della comune anarchica. Ciò significa che líavvento della "società umana" síinscrive, secondo la teoria marxiana, in un lungo processo storico. Alfine, sorge una classe sociale che costituisce líimmensa maggioranza della popolazione delle società industriali, e che può come tale assumere su di sé un compito rivoluzionario creativo. Ed è per dimostrare la logica di tale sviluppo che Marx ha cercato di fissare un nesso di causalità fra i progressi scientifici ñ soprattutto quelli delle scienze naturali ñ e le istituzioni politico-giuridiche da una parte, e il comportamento delle classi sociali antagoniste dallíaltra. Contrariamente a Engels, Marx non pensava che la trasformazione rivoluzionaria dellíavvenire sarebbe assomigliata alle rivoluzioni del passato, cataclismi naturali che stritolano uomini, cose e coscienze. Con líavvento del lavoratore moderno, la specie umana iniziava il ciclo della sua vera storia, entrava nella via della ragione e diveniva capace di realizzare i propri sogni e di darsi un destino a misura delle sue facoltà creatrici. Le conquiste della scienza e della tecnologia rendevano possibile un tale esito, ma il proletariato doveva intervenire affinché la borghesia e il suo capitale non trasformassero questíevoluzione in una corsa verso líabisso.

"I trionfi della scienza sembrano acquisiti al prezzo dellíavvilimento morale. A mano a mano che líumanità estende il dominio sulla natura, líuomo sembra divenire preda del suo prossimo e della sua propria infamia."8

La rivoluzione proletaria non avrà dunque nulla di uníavventura politica; sarà uníimpresa universale, condotta díintesa dallíimmensa maggioranza dei membri della società che ha preso coscienza della necessità e della possibilità di una rigenerazione totale dellíumanità. Visto che la storia è divenuta mondiale la minaccia di asservimento da parte del capitale e del suo mercato si estende a tutta la Terra; di contraccolpo devono sorgere una coscienza e una volontà di massa completamente tese a un cambiamento profondo e universale delle relazioni umane e delle istituzioni sociali. Dacché il pericolo di una barbarie di dimensioni planetarie minaccia la sopravvivenza degli uomini, i sogni e le utopie comuniste e anarchiche rappresentano la fonte spirituale dei progetti razionali e delle riforme pratiche in grado di restituire alla specie umana il gusto della vita secondo le norme di una ragione e di uníimmaginazione egualmente volte verso il rinnovamento del destino umano.

Líuomo non può uscire dal regno della necessità per entrare in quello della libertà, come pensava Engels, e non può esserci passaggio diretto dal capitalismo allíanarchismo. La barbarie economica e sociale instaurata dal modo di produzione capitalista non potrà scomparire in seguito a una rivoluzione politica preparata, organizzata e diretta da uníélite di rivoluzionari di professione aventi la pretesa di agire e di pensare in nome e a beneficio della maggioranza degli sfruttati e degli alienati. Costituito in classe e in partito nelle condizioni della democrazia borghese, il proletariato libera se stesso lottando per conquistare tale democrazia: fa del suffragio universale, appena ieri "strumento díinganno", un mezzo di emancipazione. Una classe che costituisce líimmensa maggioranza di una società moderna si aliena politicamente solo per trionfare sulla politica e conquista il potere di Stato solo per utilizzarlo contro la minoranza prima dominante. La conquista del potere politico è un atto "borghese" per natura; si tramuta in azione proletaria solo per la finalità rivoluzionaria conferitale dagli autori di questo sconvolgimento. Tale è il senso di quel periodo storico che Marx non ha avuto paura di denominare "dittatura del proletariato", proprio per sottolinearne la differenza rispetto alla dittatura esercitata da uníélite, la dittatura nel senso giacobino del termine9. Certo, attribuendosi il merito di aver scoperto il segreto dello sviluppo storico dei modi di produzione e di dominio, Marx non poteva immaginare che il proprio insegnamento sarebbe stato usurpato nel xx secolo da rivoluzionari di professione che si sarebbero arrogati il diritto díimpersonare la dittatura del proletariato. Egli immaginava questa forma di transizione sociale solo per Paesi in cui il proletariato avrebbe saputo approfittare del periodo democratico-borghese per creare le proprie istituzioni e costituirsi in classe dominante della società. Paragonata ai secoli di violenza e di corruzione che sono occorsi al capitalismo per dominare líuniverso, la durata del processo di transizione che deve portare alla società anarchica sarà assai più breve e conoscerà molta meno violenza poiché líaccumulazione del capitale e la concentrazione del potere statale opporranno un proletariato di massa a una borghesia numericamente debole.

"Per trasformare la proprietà privata e frazionata, oggetto del lavoro individuale, in proprietà capitalistica, saranno stati necessari più tempo, sforzi e sofferenze di quelli che non esigerà la metamorfosi in proprietà sociale della proprietà capitalistica, che riposa già di fatto su un modo di produzione collettivo. Là si trattava dellíespropriazione della massa da parte di pochi usurpatori; qui, si tratta dellíespropriazione di pochi usurpatori da parte della massa." (Il Capitale, I.)

Marx non ha elaborato in tutti i dettagli una teoria della transizione, e si possono cogliere differenze notevoli tra i diversi abbozzi teorici e pratici disseminati nella sua opera. Tuttavia attraverso queste affermazioni, talvolta contraddittorie, un principio di base rimane intatto, e costante al punto di permettere la ricostruzione coerente di tale teoria. Ed è forse su questo punto che il mito della fondazione del "marxismo" da parte di Marx ed Engels rivela la sua nocività. Mentre il primo faceva del postulato dellíauto-praxis proletaria il criterio di ogni autentica azione di classe e di ogni vera conquista politica, il secondo, soprattutto dopo la scomparsa dellíamico, ha finito col separare i due elementi costitutivi del movimento operaio: líazione di classe ñ la Selbsttätigkeit ñ del proletariato da una parte, e la politica di partito dallíaltra. Marx pensava che, più di ogni atto politico isolato, líautoeducazione comunista e anarchica fosse parte integrante dellíattività rivoluzionaria degli operai: era loro compito rendersi idonei alla conquista e allíesercizio del potere politico come mezzo di resistenza contro i tentativi della borghesia per riconquistare e recuperare il suo potere. Il proletariato deve temporaneamente costituirsi in forza materiale per difendere il proprio diritto e il proprio progetto di trasformare la società creando progressivamente la comunità umana. Lottando per affermarsi come forza di abolizione e di creazione, la classe operaia ñ che è "di tutti gli strumenti di produzione la più grande forza produttiva"10 ñ assume il progetto dialettico di una negazione creatrice: corre il rischio dellíalienazione politica al fine di rendere la politica anacronistica. Un simile progetto non ha nulla in comune né con la passione distruttrice di un Bakunin né con líapocalisse anarchica di un Cúurderoy. Líestetismo rivoluzionario non aveva posto in questo progetto politico, concepito per fare trionfare la supremazia virtuale delle masse oppresse e sfruttate. Agli occhi di Marx, líInternazionale operaia poteva divenire questa organizzazione di combattimento, poiché combinava la forza del numero con quello spirito rivoluzionario che líanarchismo proudhoniano concepiva in tuttíaltra maniera. Legandosi allíait, Marx non aveva abbandonato la posizione presa contro Proudhon nel 1847, quando si trattava di definire un anarchismo antipolitico realizzabile attraverso un movimento politico:

"Ciò vuol dire forse che dopo la caduta dellíantica società ci sarà una nuova dominazione di classe riassumentesi in un nuovo potere politico? No. [Ö] La classe lavoratrice sostituirà, nel corso del suo sviluppo, allíantica società civile uníassociazione che escluderà le classi e il loro antagonismo, e non vi sarà più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il compendio ufficiale dellíantagonismo nella società civile.

Nellíattesa, líantagonismo tra il proletariato e la borghesia è una lotta di classe contro classe, lotta che, portata alla sua più alta espressione, è una rivoluzione totale. [Ö] Non si dica che il movimento sociale esclude il movimento politico. Non vi è mai movimento politico che non sia sociale nello stesso tempo.

Solo in un ordine di cose in cui non vi saranno più classi né antagonismo di classi le evoluzioni sociali cesseranno di essere rivoluzioni politiche" (Miseria della filosofia, 1847)11.

Il proposito di Marx è qui di un realismo a prova di ogni interpretazione "idealista". Questo discorso al futuro bisogna evidentemente intenderlo come líannuncio di un progetto normativo che impegna i lavoratori a comportarsi da rivoluzionari pur lottando politicamente. "La classe operaia è rivoluzionaria, o non è niente." (Lettera a J.B. Schweitzer, 1865.) È il linguaggio di un pensatore la cui dialettica rigorosa rifiuta, contrariamente a quella di un Proudhon o di uno Stirner, di meravigliare facendo sistematicamente ricorso al paradosso gratuito e alla violenza verbale. E se tutto non è e non può essere risolto in questa dialettica dimostrativa dei fini e dei mezzi, il suo merito è almeno quello díincitare le vittime del lavoro alienato a comprendersi e ad autoeducarsi per intraprendere assieme una grande opera di creazione collettiva. In questo senso, líappello di Marx rimane attuale, a dispetto del marxismo trionfante e in ragione di questo trionfo12.

Da questi accenni risulta che la teoria sociale di Marx si presenta espressamente come un tentativo di analisi obiettiva di un movimento storico e non come un codice morale o politico di una praxis rivoluzionaria tendente a realizzare un ideale di vita sociale; come studio scientifico di un processo di sviluppo che coinvolge cose e individui, e non come somma di norme a uso di partiti e di élites aspiranti al potere. Tuttavia questo è solo líaspetto esteriore e riconosciuto di tale teoria, che segue una duplice traiettoria concettuale di cui líuna possiede un orientamento rigorosamente determinista e líaltra si dirige liberamente verso líobiettivo immaginario di una società anarchica.

"Non è nel passato ma solo nellíavvenire che la Rivoluzione sociale del xix secolo potrà trovare la fonte della sua poesia. Non potrà iniziare da se stessa prima di essersi liberata da ogni credenza superstiziosa nel passato." (Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, 1852.)12 bis

Il passato è la necessità irrimediabile, e un osservatore armato di tutti gli strumenti analitici è in grado di spiegare il concatenarsi dei fenomeni còlti. Ma se è vano sperare nella realizzazione di tutti i sogni che líumanità, attraverso i suoi profeti e i suoi visionari, ha potuto nutrire, líavvenire potrebbe almeno portare agli uomini la fine delle istituzioni che hanno ridotto la loro vita a uno stato permanente di servitù in tutti i campi sociali. Questo è, in rapida sintesi, il legame tra la teoria e líutopia nellíinsegnamento di Marx, che si è formalmente proclamato "anarchico" quando scriveva:

"Per anarchia, tutti i socialisti intendono quanto segue: una volta raggiunto lo scopo del movimento proletario, líabolizione delle classi, il potere dello Stato che serve a mantenere la grande maggioranza dei produttori sotto il giogo di una esigua minoranza di sfruttatori, si dissolve e le funzioni governative si trasformano in semplici funzioni amministrative" (Le cosiddette scissioni nellíInternazionale, Genève, 1872)12 ter.

Post scriptum

Nel centenario della morte di Marx questo saggio, pubblicato dieci anni fa, avrebbe bisogno di una rimaneggiamento, per rinforzarne la tesi centrale: la fondazione da parte di Marx di una teoria politica dellíanarchismo13. Se si prescinde dalla tradizionale critica puramente fraseologica di cui questa teoria è oggetto da parte di ideologi anarchici e libertari, occorre ammettere che un vero e proprio dibattito sui modi di transizione dalle società dominate dal capitale e dallo Stato è lungi dallíessere iniziato. Perlopiù, il verbalismo sostituisce líargomentazione in entrambi i campi, anarchico e marxista, senza che líinsegnamento del principale interessato sia realmente preso in considerazione. Peraltro, il fatto che la quasi totalità delle risoluzioni "politiche" redatte da Marx per i congressi dellíInternazionale operaia abbiano ottenuto líaccordo unanime dei delegati, basta da solo a dimostrare líinanità delle critiche sedicenti antiautoritarie. In realtà gli "antiautoritari" non erano meno "marxisti" dei loro oppositori, poiché, votando queste risoluzioni di cui probabilmente ignoravano líautore, rendevano omaggio alla sua "autorità"14. E che dire del voto unanime, da parte dellíinsieme delle sezioni dellíait, a favore dellíindirizzo su La guerra civile in Francia in cui il "vero segreto" della natura della Comune è rivelato in questi termini:

"[Ö] fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe degli appropriatori, la forma politica finalmente scoperta che consentiva di realizzare líemancipazione economica del lavoro"15.

Come fare a non stupirsi di una fraseologia "antiautoritaria" sempre rifiorente, sapendo che questa concezione del carattere politico della Comune fu condivisa senza riserve sia dagli adepti di Proudhon sia da quelli di Bakunin, il quale, poco tempo dopo, si sarebbe dato da fare per diffondere fra i suoi compagni di lotta libelli nei quali Marx era trattato da "rappresentante del pensiero tedesco", "Ebreo tedesco", "capo dei comunisti autoritari della Germania" con atteggiamenti da "dittatore-messia", fanatico sostenitore del "pangermanesimo"16? Che dire di quelle "Pièces justificatives" in cui Marx è descritto da una parte come un "economista profondoÖ appassionatamente votato alla causa del proletariato", come "líiniziatore e líispiratore principale della fondazione dellíInternazionale", e díaltra parte come un dottrinario che "è giunto a considerarsi del tutto seriamente come il papa del socialismo, o piuttosto del comunismo"? Egli è, "nellíintera sua teoria, un comunista autoritario, che vuole come Mazzini [Ö] líemancipazione del proletariato mediante il potere centralizzato del proletariato". Cosa pensare di un "anarchico" o di un "comunista rivoluzionario" che crede e afferma che líebreo Marx è circondato da una "folla di piccoli Ebrei", che "tutto questo mondo giudeo", questo "popolo sanguisuga", è "intimamente organizzato [Ö] al di là di ogni differenza di opinioni politiche" ed è "in gran parte a disposizione di Marx da un lato, e dei Rothschild dallíaltro"17?

Come prendere sul serio un "anarchismo" che, "antiautoritario" per essenza e per proclama, attribuisce a Marx il glorioso merito di avere redatto "le così belle e profonde considerazioni degli statuti" e di aver "dato corpo alle aspirazioni istintive, unanimi del proletariato di quasi tutti i Paesi díEuropa, concependo líidea dellíInternazionale e proponendone líistituzione negli anni 1863-í64", nel mentre dimentica o finge di dimenticare il fatto che la Carta dellíInternazionale fu immediatamente un documento politico, un manifesto che conferiva alla lotta politica della classe dei produttori il carattere di un imperativo categorico, condizione assoluta e mezzo imprescindibile dellíemancipazione umana18?

Non Marx, ma Bakunin praticava il principio della liberazione "dallíalto verso il basso", raccomandando la costituzione di uníautorità centralizzata e segreta, uníélite avente per missione líesercizio di una "dittatura collettiva e invisibile" al fine di far trionfare "la rivoluzione ben diretta"19. Confidando nel movimento reale degli operai, Marx sottolineava líimportanza dei sindacati, delle cooperative e dei partiti politici in quanto creazioni "dal basso verso líalto", mentre Bakunin, ripercorrendo magistralmente la traiettoria di Mazzini ñ eroe di spedizioni ai margini della vita reale delle masse ñ, tracciava per i rivoluzionari italiani, chiamati a organizzare "una grande rivoluzione popolare", un piano di azione per sollevare e spingere alla rivoluzione i contadini "necessariamente" federalisti e socialisti. Il programma prevedeva la formazione di un "partito attivo e potente", che in realtà avrebbe dovuto essere solo uníavanguardia che marciava "parallelamente" ai mazziniani, ma evitando di allearsi con loro e vigilando affinché non penetrassero nel nuovo partito ecc. Non era Marx che, di fronte alle persecuzioni dei governi e delle polizie di cui era vittima líInternazionale in tutti i paesi del continente europeo, consigliava la creazione, "allíinterno delle sezioni", di "nuclei" composti dai membri più sicuri, più devoti, più intelligenti e più energici, in una parola, "i più intimi", con la "doppia missione" di formare "líanima ispiratrice e vivificante di questíimmenso corpo che si chiama Associazione Internazionale dei Lavoratori in Italia, come altrove [Ö]. Essi formeranno il ponte necessario fra la propaganda delle teorie socialiste e la pratica rivoluzionaria". Non era Marx che raccomandava agli Italiani così reclutati di formare a uní"alleanza segreta" che "avrebbe accettato nel suo seno solo un piccolissimo numero di individui: i più sicuri, i più devoti, i più intelligenti, i migliori, poiché in questo tipo di organizzazioni non è la quantità ma la qualità che occorre ricercare"; non occorreva imitare i mazziniani e "reclutare soldati per formare piccoli eserciti segreti, capaci di tentare colpi di mano", poiché per la rivoluzione popolare, líesercito è il popolo. Non era Marx a suggerire di formare "Stati Maggiori", una "rete ben organizzata e ben ispirata di capi del movimento popolare", uníorganizzazione per la quale "non è assolutamente necessario avere un gran numero díindividui iniziati allíorganizzazione segreta"20.

Si può immaginare líuomo indicato come la personificazione del "comunismo autoritario", che si rivolge così a una rete segreta di compagni o che impiega il proprio talento di scienziato e di militante per "trasformare líInternazionale in una sorta di Stato, ben regolamentato, ben disciplinato, che obbedisce a un governo unitario e i cui poteri sarebbero tutti concentrati nelle mani di Marx"21?

Come spiegare il fatto che, per suffragare il loro dogma "antiautoritario", i sedicenti anarchici non hanno altra risorsa se non líinvocazione, ripetuta incessantemente, di alcuni passi del Manifesto del Partito comunista o la citazione di estratti di lettere private, oltre che, naturalmente, il rimando alle ambigue e subdole manovre di Marx ed Engels per far escludere Bakunin e i suoi dallíInternazionale? Se è facile comporre uníantologia di scritti giacobini e blanquisti-babeuvisti a partire dallíopera di Bakunin, una simile impresa si rivela impossibile per dimostrare la pretesa esaltazione del "comunismo di Stato" da parte di Marx.

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Il percorso di Marx síinscrive, dallíinizio alla fine, in un processo di militanza contro líautorità. Lo Stato e la Chiesa di Prussia furono il primo ostacolo che il "dottore in filosofia" dovette affrontare per poter esercitare la professione di docente universitario: fu il primo insuccesso e anche il primo stimolo alla lotta contro líautorità politica. Da allora la vita di Marx si confonde con una battaglia politica condotta in tutti i luoghi di esilio così come nel Paese natale, ove poté tornare nel 1848, non come cittadino tedesco ma come apolide. A parte líInghilterra, luogo di relativa libertà, i Paesi dove Marx ha soggiornato hanno sempre messo la polizia alle sue calcagna. Godendo del diritto di libera espressione in Gran Bretagna, non si astenne dal praticare un giornalismo "antiautoritario" e dal cercare contatti nellíambiente del cartismo, allora privo di grandi prospettive politiche. A Colonia, Parigi, Bruxelles e Londra, militò secondo le proprie convinzioni sociopolitiche, non come un avventuriero che fomentava cospirazioni di nessun effetto contro líordine stabilito, ma a viso scoperto, là dove le libertà borghesi erano assicurate, e nella clandestinità, se la borghesia doveva ancora fronteggiare le vestigia dellíassolutismo feudale. In breve, la sua battaglia fu sempre diretta contro i regimi reazionari e, dunque, autoritari.

Un insieme di princìpi merita il nome di "teoria" solo se sviluppa tesi empiricamente verificabili e determina norme di realizzazione razionalmente concepibili. La teoria marxiana dellíanarchismo riunisce queste due caratteristiche: da una parte analizza i fenomeni storico-sociali nel loro svolgimento fissato da testimonianze verificate e verificabili, dallíaltra formula previsioni relativamente credibili in funzione dei comportamenti umani e delle tendenze trasformatrici della realtà sociale. Analitica e normativa, questa teoria non può eguagliare líesattezza delle scienze cosiddette naturali, anche se líepistemologia contemporanea rimette in questione i presupposti deterministici delle scienze cosiddette esatte, assicurando in qualche modo il trionfo postumo di quel principio del "caso", chiave dellíatomismo epicureo (che fu il tema della tesi dello studente Marx, candidato al dottorato in filosofia). A differenza della maggioranza dei pensatori che si richiamano allíanarchismo o allíindividualismo nichilista (Max Stirner!) ma si preoccupano poco dei mezzi pratici in grado di condurre a forme di comunità liberate dalle istituzioni di classe che favoriscono lo sfruttamento e il dominio dellíuomo sullíuomo, Marx ha cercato di conoscere i modi di trasformazione rivoluzionaria delle società nel passato, al fine di dedurre degli insegnamenti generali da queste esperienze storiche. Quando asseriva di aver assegnato alle proprie ricerche líambizioso obiettivo di "svelare la legge economica di movimento della società moderna", aveva già alle spalle quasi trentíanni di studi in parecchi campi del sapere. Non è dunque come specialista dellíeconomia politica chíegli pretendeva di rivaleggiare con Adam Smith, David Ricardo e i loro epigoni. Líoriginalità del suo metodo doveva esercitarsi nellíosservazione dei rapporti umani sottesi dai fenomeni cosiddetti economici, tanto nella loro espressione teorica che nella loro manifestazione pratica. Separare il critico dellíeconomia politica dal teorico della politica rivoluzionaria, significa precludersi la comprensione del senso profondo della sua opera, ma anche ignorare líinfluenza necessariamente negativa delle circostanze "borghesi", più esattamente: quella "miseria borghese" che ha segnato tutto il suo cammino di paria intellettuale.

Disponiamo di molti indici che permettono di affermare che il "Libro sullo Stato" previsto nel piano dellíEconomia, definito da Marx nella "Prefazione" alla Critica dellíeconomia politica (1859), avrebbe dovuto esporre anche una Teoria dellíAnarchismo. Quando, per commemorare il centenario della morte di Marx, un cronista si rammarica che líeconomista abbia avuto la meglio sul teorico della politica, sembra basarsi su questo piano che a Marx non fu dato di realizzare22. Líautore della "Critica" affermava di disporre di "materiali" destinati a cinque "rubriche" o "Libri"; parlava anche di "monografie" suscettibili di modificarsi, circostanze permettendo, in scritti elaborati conformemente allo schema delle due triadi ove possiamo indovinare facilmente il rapporto con il metodo dialettico di un Hegel preventivamente "raddrizzato"23. Líalone di leggenda che circonda líopera di Marx ha finito per raggiungere un grado di mistificazione finora mai toccato, e si deve ammettere che "libertari" e "antiautoritari" vi hanno contribuito in misura non trascurabile, facendosi così complici, spesso involontari, degli ideologi liberal-democratici arruolati al servizio degli interessi del capitalismo vero contro il falso socialismo dipinto con i colori del demone totalitario.

Per la verità, è proprio "il politico" che attraversa da un capo allíaltro líintera opera di Marx, rimasta frammentaria per ragioni evidenti. Per quanto riguarda la "monografia" menzionata fra i materiali parzialmente redatti come testo provvisorio del "Libro", potrebbe essere ricostruita a partire dagli elementi, sparsi ma assai numerosi, presenti in quasi tutti gli scritti, pubblicati e inediti, ormai accessibili, grazie alle edizioni e riedizioni di cui Engels fu líiniziatore. Dopo la sua scomparsa, sono andate avanti per oltre ottantíanni, finché la domanda posta da Kautsky a Marx nellíaprile 1881 sembra infine ricevere una risposta definitiva grazie allíimpresa editoriale più recente, la Marx-Engels Gesamtausgabe24.

Ormai dunque sappiamo che Marx non ha mai smesso di lavorare alla "rubrica" intitolata "Lo Stato". È proprio con una critica della morale politica di Hegel chíegli ha iniziato la propria carriera di scienziato "impegnato", così come líha terminata con un lavoro sulle prospettive rivoluzionarie nella Russia zarista. Soprattutto si sa che il primo progetto del "Libro sullo Stato" è datato 1845, quando Marx aveva appena scritto il primo abbozzo di una critica dellíeconomia politica. Trattare un tema come Marx teorico dellíanarchismo senza sottoporre questo piano al giudizio dei lettori e, in particolare, di quelli tra loro che non si stancano mai di accanirsi contro il "comunista di Stato", equivale a privarsi di un argomento capitale. Ecco dunque gli undici temi inseriti da Marx in un taccuino usato durante gli anni í44-í47 (non è possibile stabilirne la data precisa):

I ñ La storia della genesi dello Stato moderno ovvero la Rivoluzione francese.

La tracotanza del politico (des politischen Wesens): confusione con lo Stato antico. Rapporto dei rivoluzionari con la società borghese. Sdoppiamento di tutti gli elementi in borghesi e cittadini (bürgerliche und Staatswesen).

II ñ La proclamazione dei diritti dellíuomo e la costituzione dello Stato. La libertà individuale e la forza pubblica. Libertà, eguaglianza e unità. La sovranità popolare.

III ñ Lo Stato e la società civile.

IV ñ Lo Stato rappresentativo e la Carta.

Lo Stato rappresentativo costituzionale, o lo Stato rappresentativo democratico.

V ñ La separazione dei poteri. Potere legislativo e potere esecutivo.

VI ñ Il potere legislativo e i corpi legislativi. Club politici.

VII ñ Il potere esecutivo. Centralizzazione e gerarchia. Centralizzazione e civiltà politica. Sistema federale e industrialismo. Líamministrazione pubblica e líamministrazione comunale.

VIII ñ Il potere giudiziario e il diritto.

IX ñ La nazionalità e il popolo.

X ñ I partiti politici.

XI ñ Il diritto di suffragio, la lotta per líabolizione (Aufhebung) dello Stato e della società borghese25.

Nel febbraio 1845, Marx si impegnò a cedere a un editore tedesco i diritti di uníopera in due volumi intitolata Critica della politica e dellíeconomia politica (vedi sopra). Si è dunque autorizzati ad affermare che lo schema precedente doveva servire allíautore da quadro di riferimento per gli studi da intraprendere. Molti dei temi enumerati erano stati già affrontati negli scritti redatti da Marx prima del 1845, altri, invece, saranno oggetto dei suoi lavori lungo tutta la sua attività di storico, di cronista politico e di polemista. "Il politico" sarà al centro dei suoi scontri con gli anarchici affiliati allíInternazionale operaia.

Allíelenco dei testi già menzionati, occorre aggiungere uno scritto polemico di una concisione e di una ironia tali che meriterebbe di essere citato per intero, quale documento conclusivo della teoria politica che si sprigiona dallíinsieme dellíopera di Marx e ne legittima líintento strategico subordinato alla causa dellíanarchia. Ricorrendo a un pastiche, Marx dà la parola a un difensore dellí"indifferentismo politico", in modo tale che i suoi enunciati, prima ancora di venire commentati, rivelano líinanità del ragionamento sedicente anarchico. Basta modificare il carattere ironico del discorso fittizio, per giungere a ricostruire la concezione positiva del preteso "comunista di Stato":

ó La classe operaia deve costituirsi in partito politico, deve intraprendere delle azioni politiche, a rischio di urtare gli "eterni princìpi" secondo i quali la lotta contro lo Stato significa il riconoscimento dello Stato. Gli operai devono organizzare scioperi, lottare per salari più elevati o impedirne la riduzione, a rischio di riconoscere il sistema del salariato e di rinnegare i princìpi eterni della liberazione della classe operaia.

ó Gli operai debbono unirsi nella loro lotta politica contro lo Stato borghese, per ottenere delle concessioni, a rischio di urtare gli eterni princìpi accettando dei compromessi. Non bisogna condannare i movimenti pacifici degli operai inglesi e americani, e neppure le lotte dirette a ottenere un limite legale della giornata lavorativa, concludendo compromessi con padroni che potranno sfruttare gli operai solo dieci o dodici ore, invece di quattordici o sedici. Bisogna sforzarsi di ottenere líinterdizione legale del lavoro in fabbrica delle fanciulle minori di dieci anni, anche se, con questo mezzo, lo sfruttamento dei ragazzi maggiori di dieci anni non è soppresso ñ dunque, un nuovo compromesso che urta la purezza dei princìpi eterni!

ó Gli operai debbono esigere che lo Stato ñ come accade nella Repubblica americana ñ sia obbligato a concedere ai loro figli la gratuità dellíistruzione scolastica elementare, anche se líinsegnamento primario non è ancora líistruzione universale. Giacché il budget dello Stato è sulle spalle della classe operaia, è normale che gli operai e le operaie imparino a leggere, a scrivere e a far di conto grazie allíinsegnamento di maestri remunerati dallo Stato, in scuole pubbliche ñ meglio rinnegare i princìpi eterni che essere analfabeti e abbrutiti da un lavoro quotidiano di sedici ore.

ó Agli occhi degli "antiautoritari", i lavoratori commettono líorribile crimine di violazione dei princìpi, se, per soddisfare i propri meschini e profani bisogni quotidiani e per spezzare la resistenza della borghesia, conducono la lotta politica senza indietreggiare davanti allíutilizzo di mezzi violenti, sostituendo alla dittatura della borghesia la loro propria dittatura rivoluzionaria26.

Marx non si sogna nemmeno di designare come "comunismo di Stato" questa dittatura operaia, nonostante egli impieghi una formula non priva di ambiguità, dichiarando che il nuovo potere, "invece di abbassare le armi e di abolire lo Stato", conserva in qualche modo líapparato di coercizione esistente dando allo Stato "una forma rivoluzionaria e transitoria". Queste righe, scritte diciotto mesi dopo líannientamento della Comune di Parigi, dimostrano chiaramente che, nella teoria politica di Marx, gli eventi francesi del 1871 non avevano per nulla il carattere di uníesperienza utilizzabile per illustrare il concetto di "dittatura del proletariato". Abbiamo segnalato altrove líerrore commesso da Engels al riguardo; è utile ricordarlo in questo "Post scriptum" ñ che è lungi dallíesaurire il dibattito sul tema in esame ñ con qualche passo di un nostro testo pubblicato nel 1971:

"Engels non poteva ignorare che, per Marx, la dittatura del proletariato era una fase di transizione "necessaria" ñ in senso storico ed etico ñ fra il sistema capitalista e il modo di produzione socialista, "negazione" del precedente. La teoria politica di Marx ñ chíegli avrebbe indubbiamente sviluppato nel "Libro sullo Stato" previsto nel piano dellíEconomia ñ si basa sul principio dellíevoluzione progressiva dei "modi di produzione", ciascuno dei quali crea, sviluppandosi, le condizioni materiali e morali del suo superamento da parte di quello successivo. A causa dei suoi propri antagonismi sociali, il capitalismo prepara il terreno economico e sociale della sua mutazione rivoluzionaria che non ha nulla di un fenomeno accidentale: affinché possa realizzarsi la dittatura del proletariato, le condizioni materiali e intellettuali devono avere raggiunto un livello di sviluppo tale da rendere impossibile ogni ritorno indietro. In altri termini, il postulato della dittatura proletaria esclude líeventualità di un insuccesso. Una dittatura, per meritare il nome di proletaria, deve condurre al tipo di società che ha aiutato a nascere. La sua esistenza può essere dimostrata solo a posteriori. Di conseguenza, líinsuccesso della Comune prova che non vi fu, e non poteva esservi, dittatura del proletariato"27.

Accordando allíopera di Marx un posto eminente fra i contributi a una teoria dellíanarchismo, ci sforziamo di preservare líeredità intellettuale dei pensatori rivoluzionari del xix secolo. La nuova teoria nascerà da un movimento rivoluzionario su scala mondiale, senza il quale la "legge economica di movimento della società moderna" ñ che Marx asseriva di avere disvelato ñ avrà la meglio sullíistinto di sopravvivenza e di conservazione della nostra specie. Mentre questa "legge" rientra nel campo dellíanalisi scientifica del modo di produzione capitalista ñ che sembra lontano dallíessere giunto al termine della sua evoluzione ñ, líimperativo categorico della rivoluzione proletaria síinscrive in quellíetica dellíanarchia di cui Kropotkin ci ha lasciato i prolegomeni28.

M. R., ottobre 1983

 

Note

1 Forse sotto líinfluenza di William Godwin e di Proudhon.

2 Thomas Hamilton, Les Hommes et les Múurs aux États-Unis, 1832 (trad. fr. dallíinglese). Ristampa dellíed. Bruxelles, 1834, Paris-Genève, Slatkine, 1979.

3 Maximilien Rubel, "Piano e metodo dellí"economia"", in Marx critico del marxismo, Cappelli, Bologna, 1981, pp. 109-48.

4 Karl Marx, Tesi su Feuerbach (1845), in Marx-Engels, Opere, Ed. Riuniti, Roma, 1972, vol. V, pp. 3-5.

5 Vedi Maximilien Rubel, "Il mito dellíOttobre", in Marx critico del marxismo, cit., pp. 149-261. [La "Parte II" dellíedizione italiana di Marx critique du Marxisme manca del saggio "La fonction historique de la nouvelle bourgeoise", pp. 133-45 (Ndc).]

6 "Parlando di partito, io do a questa parola un senso eminentemente storico." (Lettera di Marx a Freiligrath, 29 febbraio 1860.) Vedi Maximilien Rubel, Pages de Karl Marx pour une éthique socialiste, Payot, Paris, 1970, tomo I, pp. 42 sgg. e 76 sgg.

6 bis Karl Marx, Tesi su Feuerbach, in Marx-Engels, Opere, cit., vol. V, p. 3 (Ndc).

6 ter Karl Marx, Sulla questione ebraica (trad. it. di Luciano Parinetto), in Luciano Parinetto ñ Livio Sichirollo, Marx e Shylock, Unicopli, Milano, 1982, pp. 143-44 (Ndc).

7 Vedi Maximilien Rubel, Karl Marx devant le bonapartisme, Mouton, Paris-La Haye, 1960.

7 bis Karl Marx, Primo abbozzo di redazione per La guerra civile in Francia, in Friedrich Engels ñ Karl Marx, 1871. La Comune di Parigi. La guerra civile in Francia, Ed. International ñ La Vecchia Talpa, Savona-Napoli, 1975, pp. 212-13 (Ndc).

7 ter Ibidem, p. 215 (Ndc).

7 quater Karl Marx, Líideologia tedesca, in Marx-Engels, Opere, cit., vol. V, p. 66 (Ndc).

8 Allocuzione pronunciata a Londra, nellíaprile 1856, per celebrare líanniversario dellíorgano dei cartisti "Peopleís Paper", in Maximilien Rubel, Pages de Karl Marx pour une éthique socialiste, cit., tomo II, p. 100.

9 Vedi Hal Draper, Marx and the Dictatorship of the Proletariat, "Études de marxologie", Paris, n. 6, 1962, pp. 5-74.

10 Karl Marx, Miseria della filosofia, in Marx-Engels, Opere, cit., vol.

11 Ibidem, p.

12 Il quadro limitato entro cui si muove questo saggio non ci permette di allargare la nostra dimostrazione, e quindi ci limiteremo a citare tre testi che nullificano la leggenda ñ bakuniniana e leninista ñ di un Marx "adoratore dello Stato" e "apostolo del comunismo di Stato" o che identifica la dittatura del proletariato con la dittatura di un partito, o addirittura di un uomo.

a) Note in margine al libro di Bakunin Stato e anarchia, Genève, 1873 (in russo). Temi principali: dittatura del proletariato e mantenimento della piccola proprietà rurale; condizioni economiche e rivoluzione sociale; estinzione dello Stato e trasformazione delle funzioni politiche in funzioni amministrative delle comunità cooperative autogestite.

b) Critica al programma del Partito operaio tedesco (Programma di Gotha), 1875. Temi principali: le due fasi evolutive della società comunista fondata sul modo di produzione cooperativo; la borghesia classe rivoluzionaria; azione internazionale delle classi operaie; critica della "legge bronzea del salario"; ruolo rivoluzionario delle cooperative operaie di produzione; insegnamento primario liberato dallíinfluenza della religione e dello Stato; dittatura rivoluzionaria del proletariato considerata come transizione politica verso una trasformazione delle funzioni statali in funzioni sociali.

c) Comunità contadina e prospettive rivoluzionarie in Russia (risposta a Vera ZasuliÑ), 1881. Temi principali: la comunità rurale, elemento di rigenerazione della società russa; ambivalenza della comunità e influenza del contesto storico; sviluppo della comunità e crisi del capitalismo; emancipazione contadina ed esazioni fiscali; influenze negative e rischi di scomparsa della comunità; minacciata dallo Stato e dal capitale, la comunità russa sarà salvata solo dalla rivoluzione russa.

Questi tre documenti costituiscono in qualche modo la quintessenza del libro che Marx pensava di scrivere sullo Stato. Converrebbe inoltre ricordare qui diversi scritti di Engels sul tema dello Stato che si rifanno direttamente o indirettamente alla teoria di Marx, senza tuttavia che vi sia coincidenza assoluta tra le due posizioni.

12 bis

12 ter In Karl Marx ñ Friedrich Engels, Critica dellíanarchismo, a cura di Giorgio Backhaus, Einaudi, Torino 1972, p. 76 (Ndc).

13 Vedi Louis Janover ñ Maximilien Rubel, Matériaux pour un Lexique de Marx. ñ État. Anarchisme, "Études de marxologie" (Cahiers de líismea), n. 19-20, Paris, gennaio-febbraio 1978, pp. 11-161.

14 Maximilien Rubel, "La carta della Prima Internazionale. Saggio sul ëmarxismoí nellíAssociazione Internazionale dei Lavoratori", in Marx critico del marxismo, cit., pp. 67-88. Il Rapporto del Consiglio centrale dellíait, redatto da Marx per il Congresso di Ginevra (1866), contiene al punto 4 ("Lavoro dei giovani e dei fanciulli dei due sessi") un paragrafo in cui è detto fra líaltro: "La parte più illuminata della classe operaia comprende benissimo che il suo avvenire come classe e conseguentemente il futuro dellíumanità dipende dalla formazione della generazione che cresce. Sa che soprattutto i bimbi e i giovani lavoratori devono essere tenuti lontano dagli effetti distruttori del sistema presente. E ciò può essere realizzato soltanto attraverso la trasformazione della ragione sociale in forza sociale: e, nelle circostanze presenti, non possiamo fare ciò se non mediante leggi generali, che vengono attuate tramite il potere dello Stato. Facendo introdurre tali leggi, la classe operaia non accrescerà la forza del potere governativo. Come vi sono leggi per difendere i privilegi della proprietà, perché non ne dovrebbero esistere per impedirne gli abusi? Al contrario tali leggi trasformerebbero il potere diretto contro di esse in loro proprio agente. La classe operaia allora, tramite una misura generale, farà quanto essa tenterebbe invano di compiere con un numero altissimo di sforzi individuali". ait, Compte rendu du Congrès de Genève, "Le Courrier international", London, 1867. Cfr. La Première Internationale (sotto la direzione di J. Freymond), Genève, 1962, tomo I, p. 32; Gian Mario Bravo, La Prima Internazionale, Ed. Riuniti, Roma 1978, p. 176. Votando "a grande maggioranza" questo rapporto, i delegati, indubbiamente, non si sono accorti di aderire alla teoria del "comunismo di Stato" fabbricata più tardi dallíostinata propaganda di Bakunin e dei suoi amici.

15 Cfr. Karl Marx, The Civil War in France, 3 ed., London, 1871. mega, 1/22, 1978, p. 142 (tr. it.: La guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio generale dellíAssociazione Internazionale dei Lavoratori, in Friedrich Engels ñ Karl Marx, 1871. La Comune di Parigi. La guerra civile in Francia, cit., p. 137).

16 Ci asteniamo qui dal produrre un florilegio delle asserzioni razziste e germanofobe che la figura di Marx ha ispirato a Bakunin. Le si troverà, fedelmente riportate ma scarsamente commentate negli Archives Bakounine, I, Michel Bakounine et líItalie 1871-1872, 2 parte: "La Première Internationale en Italie et le conflit avec Marx", Leiden, 1963. Il partito preso "antiautoritario" del curatore Arthur Lehning non favorisce un giudizio equilibrato e chiarificatore sul fondamento teorico di un conflitto il cui studio dovrà essere ripreso da zero, vista la confusione dei portavoce di entrambi i campi, "marxista" e "antimarxista".

17 Michel Bakounine, "Rapports personelles avec Marx. Pièces justificatives n. 2", op. cit., pp. 124 sgg. "Ciò può sembrare strano. [Ö] Ah! il fatto è che il comunismo di Marx vuole la potente centralizzazione dello Stato, e là dove cíè centralizzazione dello Stato, deve esserci necessariamente una Banca centrale dello Stato, e là dove esiste una simile Banca, la natura parassita degli Ebrei, speculando sul lavoro del popolo, troverà sempre modo di esistere [Ö]" (ibidem, p. 125).

18 Vedi la Lettre aux internationaux de la Romagne, datata 23 gennaio 1872, in Archives Bakounine, I, cit., pp. 207-28. Bakunin fa qui il mea culpa per aver contribuito allíestensione dei poteri del Consiglio generale dellíait durante il Congresso di Bale (1869) e avere rafforzato in tal modo líautorità della "setta marxiana".

19 Lettera di Bakunin ad Albert Richard, 1† aprile 1870, in Archives Bakounine, I, cit., p. XXXVI sgg. Arthur Lehning riassume, nella sua "Introduction", le attività di Bakunin tendenti a "dare alle masse una direzione veramente rivoluzionaria" mediante la moltiplicazione delle organizzazioni segrete.

20 Lettera a Celso Ceretti, 13-27 marzo 1872, in Archives Bakounine, I, cit., pp. 251 sgg.

21 Lettre aux internationaux de la Romagne, in Archives Bakounine, I, cit., p. 220. Prima di coniare líespressione "marxisti" per designare gli amici di Marx, Bakunin parlava di "marxiani" e di "nucleo marxiano".

22 Cfr. Jacques Julliard, Marx mort et vif, "Le Nouvel Observateur", 25-31 marzo 1983, p. 60: Marx avrebbe "trascurato la teoria politica" a vantaggio di una "teoria dello sfruttamento economico"Ö "per nostra sfortuna".

23 Karl Marx, åuvres, Gallimard, Paris, 1972, coll. Pléiade, tomo I.

24 Questa edizione è dovuta allíiniziativa congiunta dellíIstituto Marx-Engels-Lenin (imel) di Mosca e dellíInstitut für Marxismus-Leninismus bei dem zk der sed di Berlino (Repubblica Democratica Tedesca). Dal 1975, sono stati pubblicati una quindicina di volumi, su di un totale calcolato oltre i cento.

25 Cfr. Marx-Engels-Werke, Berlino (Repubblica Democratica Tedesca), vol. III, p. 537. I punti dallíVIII allíXI sono indicati con 8í, 8", 9í e 9".

26 Cfr. Karl Marx, Líindifferenza in materia politica, "Almanacco Repubblicano", n. 3, dicembre 1873, in Karl Marx ñ Friedrich Engels, Critica dellíanarchismo, cit., pp. 300-1. [Il testo originale de Líindifferenza in materia politica, da cui Rubel ricava "allo specchio" líeffettiva posizione di Marx, è il seguente: "La classe operaia non deve costituirsi in partito politico; essa non deve, sotto alcun pretesto, avere azione politica, poiché combattere lo Stato è riconoscere lo Stato: ciò che è contrario ai principî eterni. Gli operai non devono fare degli scioperi; poiché fare degli sforzi per farsi crescere il salario e per impedirne líabbassamento, è come riconoscere il salario; ciò che è contrario ai principî eterni dellíemancipazione della classe operaia!

Se nella lotta politica contro lo Stato borghese, gli operai non giungono che a strappare delle concessioni, essi fanno dei compromessi: ciò che è contrario ai principî eterni. Si deve quindi disprezzare ogni movimento pacifico, come gli operai inglesi e americani hanno la cattiva abitudine di fare. Gli operai non devono fare sforzi per stabilire un limite legale della giornata di lavoro, perché è come fare dei compromessi coi padroni, i quali allora non possono più sfruttarli che per dieci o dodici ore, in luogo di quattordici o sedici. Essi non devono più neanche darsi la pena díinterdire legalmente líimpiego dei fanciulli al disotto dei dieci anni nelle fabbriche, perché con questo mezzo essi non fanno cessare lo sfruttamento dei ragazzi al disotto dei dieci anni; essi quindi commettono un nuovo compromesso, che pregiudica la purezza degli eterni principî!

Gli operai devono ancor meno volere, che, come nella Repubblica americana, lo Stato di cui il budget è impinguato dalla classe operaia, sia obbligato a dare ai ragazzi degli operai la istruzione primaria; perché líistruzione primaria non è líistruzione integrale. È meglio che gli operai e le operaie non sappiano leggere, né scrivere, né far conti piuttostoché ricevere la istruzione da un maestro di scuola dello Stato. È assai meglio che líignoranza e un lavoro quotidiano di sedici ore abbrutiscano le classi operaie, piuttosto che violare i principî eterni!

Se la lotta politica della classe operaia assume forme violente, se gli operai sostituiscono la loro dittatura rivoluzionaria alla dittatura della classe borghese, essi commettono il terribile delitto di leso-principio; perché per soddisfare i loro miserabili bisogni profani di tutti i giorni, per schiacciare la resistenza della classe borghese, invece di abbassare le armi e di abolire lo Stato, essi gli dànno una forma rivoluzionaria e transitoria" (Ndc).]

27 Maximilien Rubel, "Introduction", in Jules Andrieu, Notes pour servir à líhistoire de la Commune de Paris de 1871, édition établie par Maximilien Rubel et Louis Janover, Paris, Spartacus, 1984 (1 ed.: Payot, Paris, 1971).

28 Pierre Kropotkine, LíEthique (trad. fr. dal russo con uníintroduzione di Maria Goldsmith), Stock+Plus, Paris, 1979. Un secondo volume conterrà il testo inedito di un abbozzo la cui idea direttrice viene riassunta dalla traduttrice a pp. 8 sgg.

È utile segnalare uno studio italiano recentemente apparso in cui le tesi qui presentate ricevono delucidazioni complementari: Bruno Bongiovanni, Líuniversale pregiudizio. Le interpretazioni della critica marxiana della politica, La Salamandra, Milano, 1981.